2010
installazione video a quattro canali, dimensioni ambientali
opera site specific per le Casematte dell’Isola della Certosa, Venezia
2010
installazione video a quattro canali, dimensioni ambientali
opera site specific per le Casematte dell’Isola della Certosa, Venezia
In Laguna sotto l’apparente quiete della superficie si è sviluppato un mondo di microcreature che fanno un gran ciacolar.
Oggi sensori-sonde sono in grado di catturare e fornire una vasta gamma d’informazioni delle risorse che le acque custodiscono.
Un monitoraggio sempre più approfondito delle comunicazioni acustiche è la ricerca in diversi Paesi.
L’opera site specific per l’isola della Certosa nella laguna di Venezia è stato possibile con la collaborazione del CNR di Venezia, che mi ha fornito le immagini prese al microscopio.
Mentre i suoni prodotti degli animaletti mi sono stati concessi dal CNR, Istituto di acustica e sensoristica di Tor Vergata,”Orso Mario Corbino” di Roma.
Amalia Del Ponte
Quattro regni a fior d’acqua (regni invisibili ma possibili)
Due appartengono alle classiche categorie leçons de choses, cioè regno animale, vegetale, minerale: notare che ci vuol poco a confondere i confini tra questi regni: vedi i coralli, le spugne o i cristalli cari ad Amalia…
Al microscopio poi, i regni si confondono ancora di più! Con le potenti protesi che permettono di vedere un millesimo di milli metro, gli organismi vegetali e animali non si differenziano all’occhio “normale”. L’incredibile è che sono tutti vivi…
Quel primordiale e infinitesimale brodo si muove senza tregua, si trasforma ed emette persino suoni. A un metro dalla laguna, nelle quattro casematte, ecco quattro oblò: come i vetrini di un microscopio, come gli oblò di una nave di Jules Verne, come il tondo che si richiude sull’ultima immagine di un film muto…
Negli oblò appare la laguna sottostante l’isola della Certosa, quattro “tuffi” nell’acqua nascosta sotto i nostri piedi… Le creature stravaganti che così affiorano e si succedono negli oblò non solo vibrano e si spostano, ma emettono sospiri, grida, fruscii.
A malapena l’occhio, di fronte all’incredibile ingrandimento, nota differenze tra la vita animale e quella vegetale (semmai il suono? Il vegetale rimane muto?). Stesse forme stravaganti, stesse sagome essenziali: per l’occhio è la stessa identica esperienza sensoriale che riguarda una misteriosa micro-biologia.
Comunque Amalia ha spartito questi due regni contigui tra le casematte 1 e 2. Le casematte 3 e 4 invece offrono una esperienza tutta diversa: riguarda ancora l’occhio e l’orecchio(con vera musica) ma le “creature” indagate qui non sono visibili nemmeno agli strumenti più sofisticati, perciò quello che appare sono traduzioni o equivalenze, ipotesi matematiche (del tipo spirale DNA). Queste forme meravigliosamente varie e astratte sono totalmente mentali, concet-tuali; nulla di biologico può emergere, la vita rimane invisibile, indicibile.
La proposta formale inventata si rivolge dunque all’occhio della mente,ma non la mente raziocinante bensì quella sensitiva, immediata: un sesto senso. Così anche nella casamatta 3 scompareil confine tra risposta mentale e risposta sensoriale del visitatore. Insomma nelle 3 casematte finora visitate, tutto avviene ugualmente… a fior di sensi e a fior di mente. In modo ipnotico. Anzi, ciò avviene anche nella quarta casamatta, in quanto in quell’ultima stazione viene sollecitato l’inconscio del visitatore, una sua risposta spontanea di fronte alle immagini che l’inconscio (e l’arte) di Amalia ha registrato: qui in effetti la proposta visiva dell’artista sostituisce un’ipotesi che la scienza (ad oggi) non è in grado di raffigurare. Sognando liberamente forme che risponderanno a quelle proposte dall’artista, l’inconscio del visitatore completerà figure composite e involontarie, stravaganti quanto i “cadavres exquis” dei surrealisti francesi: una specie di plancton mentale, automatico ed infinito. La sequenza delle quattro casematte invita dunque ad un viaggio sterminato, ad un’immersione sensoriale e mentale che fa passare gradualmente dalla biologia la più segreta all’attività mentale la più intensa …Che spazia dagli impianti dalla matematica fino alle più incredibili lagune dell’inconscio.
Nei mondi del meraviglioso contemporaneo
E’ un percorso iniziatico di conoscenza, che vuole risvegliare lo spirito dormiente delle cose nascoste fuori e dentro di noi, e che aleggiano dentro, sotto, intorno all’isola, ma è anche un percorso di godimento dell’occhio, del vedere.
E nella visione il soggetto si rivela a se stesso e ha accesso all’essere originario che ci circonda e ci attraversa. La visione dell’artista, infatti, vede e ci fa vedere ciò che manca al mondo per essere un’opera, vede la presenza della materia del mondo che resterebbe nascosta. E’ questo il senso delle lenti ottiche con cui esperire ciò a cui non avremmo accesso, di immergerci nell’altrove fuori e dentro di noi, nel riconoscersi nel desiderio di un luogo in cui non siamo mai nati ma a cui apparteniamo.
E’ in questo che l’invisibile si incontra con il visibile perché il vedere a cui l’opera ci dà accesso, è, come diceva Merleau-Ponty, vedere più di quanto si vede, è accedere a un essere della latenza.
E’ vedere nelle cose il silenzio che le circonda, che sta loro intorno.
E Amalia Del Ponte ha sempre guardato di traverso, di sbieco, e sondato ciò che non si vede, lo spazio o l’intervallo tra i corpi materici nelle sue sculture, o la luce che le fa essere e le possibilità riflettenti del plexiglas, o la voce o il suono o il canto nelle pietre e del marmo.
La sua è una visione in negativo, capace di vedere gli intervalli delle cose e ascoltare la loro voce. Sta in ciò anche la peculiare utilizzazione, che qui fa della scienza e della tecnica, che, come nell’amato Gabo, le manipole per dar loro un senso diverso o più ampio, quello di un cominciamento in cui cercare e far emergere le possibilità inesplorate, le relazioni alternative che si danno nel rapporto dell’uomo con i saperi e le tecnologie.
L’opera di Amalia, Il regno dei possibili, invisibili, per l’isola La Certosa a Venezia è ad essa perfettamente contestuale, anche se non è stata pensata per questo luogo specifico, ma perché di esso ben coglie il senso nella pluralità dei significati che qui assume: luogo come isola, una creatura dell’acqua, in cui sono racchiusi i segreti della vita, quindi un luogo in cui evocare l’originario e il primordiale e insieme luogo simbolico, di infinite narrazioni, archetipo della forma perfetta e del luogo felice, in cui si declinano le fascinazioni dell’utopia.
E perché collega la sua parte nuova, andando a interagire su quella della sua memoria stratificata, nel muro di contrasto, nelle quattro Casematte, silenti nell’abbandono e nella rovina, ma ancora in piedi. E’ in ognuna esse, nel pavimento, che installa i suoi oblo-lente, ciascuno, come lei stessa descrive ampliamente e motiva con precisione, con il proprio mondo: nel primo di microrganismi animali, e poi, nel secondo, di quelli vegetali, come ce li fa vedere il microscopio ottico, e, quando non è possibile, disegnandoli, nel terzo oblò, per giungere infine, nel quarto, a un filmato con le immagine del nostro inconscio. Ma non è solo in questo che consiste l’operazione di Amalia Del Ponte, ma in ciò che, così facendo, si eventua. Perché, l’uso della simulazione, del disegno, del filmato nell’intervento dell’arte ci dà accesso anon a verità geometriche ma a presenze fenomeniche che ricreano un rapporto osmotico con le diverse forme della vita e con l’altro che ci abita, con la stoffa di cui è fatto l’essere del mondo.
L’oblò è, infatti, una modulazione di una spazialità preliminare, è un’apertura, una architettura del vuoto e dell’altrove in cui rendere visibile l’invisibile. E in cui quel che si produce è un appunto un evento e quel che si manifesta è una presenza in cui osservatore, spazio, opera, che di questo spazio trasforma le coordinate percettive, costituiscono un insieme indivisibile.
Eleonora Fiorani