5 marzo – 30 aprile 2015
opere esposte: La porta senza porta, Il nano illuminato, Ars Memorie, Potnia, Il pasto nudo, Io
5 marzo – 30 aprile 2015
opere esposte: La porta senza porta, Il nano illuminato, Ars Memorie, Potnia, Il pasto nudo, Io
Antequam de magia, sicut antequam de quocunque subjecto disseratur, nomen in sua significata est dividendum; totidem autem sunt significata magiae, quot et magi.
Magnus primo sumitur pro sapiente, cuiusmodi erant Trimegisti apud Aegyptios, Druidae apud Gallos, Gymnosophistae apud Indos, Cabalistae apud Hebraeos, Magi apud Persas (qui a Zoroastre), Sophi apud Graecos, Sapientes apud Latinos.
Prima di dissertare sulla magia, come su qualsiasi altro soggetto, il nome va distinto nei suoi significati: tanti sono i significati del termine magia, quante le specie dei maghi.
Mago anzitutto significa sapiente, come lo erano i Trismegisti fra gli Egizi, i Druidi fra i Galli, i Gimnosofisti fra gli Indi, i Cabalisti fra gli Ebrei, i Magi fra i Persiani (discendenti da Zoroastro), i Sofisti fra i Greci, i Sapienti fra i Latini.
Giordano Bruno, Ascoltare la grande voce delle cose
performance di Elio Marchesini e Nicol Longoni Del Ponte
Il lavoro di Amalia Del Ponte si sviluppa fin dai suoi esordi negli anni Sessanta sulle possibilità di sperimentare le dinamiche del materiale e dell’immateriale.
Le suggestioni letterarie, scientifiche e tecnologiche che di volta in volta hanno arricchito e fermentato il suo immaginario non posso essere ricondotte a uno stile formale univoco.
L’innata e inesauribile curiosità ha spinto Amalia a una pratica sperimentale constante, raffinata e lirica.
Proprio questo lirismo riesce a innescare una sottile e mai sfacciata provocazione nello spettatore, anzi l’eterogeneità dei materiali e delle tecniche utilizzate dall’artista sono riconducibili a un modo di lavorare coerente e organico, come è possibile cogliere nell’ambito di questa mostra.
Si tratta di un racconto letterario che inizia dai tentativi di conoscere, spiegare e quindi dominare la natura – tipici della cultura micenea e greca -, per attraversare i territori ancora più insondabili della mente umana con le tecniche di memorizzazione di Giordano Bruno, agli esperimenti psicofisici di Burroughs ed infine al mondo infinitamente piccolo, della nanotecnologie o infinitamente grande… come nell'”area percettiva”.
dal comunicato stampa
L’ultima mostra di Amalia Del Ponte si presenta ai visitatori come un’esperienza sensoriale di segni, suoni, e passaggi di luce e ombre ineffabili e appena percettibili. Questa è la prima volta che l’artista ha esposto l’installazione Ars Memoriae, 2014: ventuno disegni a inchiostro di code di animali, che sembrano fugaci come fantasmi, corpi che si possono intuire, ma non si vedono. Gli animali sono presentati in ordine alfabetico.
Al centro dell’installazione, l’artista ha costruitoLa ruota della memoria, 2014, in cui i visitatori possono girare due cerchi di carta sovrapposti a scoprire frammenti di discorsi che si incontrano in vari modi, che danno luogo al surreale, frasi incongruenti che lasciano spazio all’immaginazione, non senza un senso di ironia. Nel frattempo, La porta senza porta, 2015, è un paradosso. Si tratta di una proiezione della luce su una parete accompagnata da una maniglione antipanico. La sua luminosità estesa trova un contrappunto nella piccola macchia luminescente Il nano illuminare(L’Illuminato Nano), 2012, che è circondato da una cornice di legno sproporzionatamente grande. Un LED qui pulsa come una piccola stella perduta nello spazio profondo. Il suono di Potnia 1989, sembra arrivare da profondità simili: il litofono in travertino può essere colpito con un martelletto, facendo risuonare il volto dell’idolo scolpito nella pietra. Infine, la spiritosa inversione tra vedere e immaginare sono condensati in una piccola scultura in legno, Io, 2011, in cui l’artista, tramite il negativo del suo profilo, sembra guardare se stessa.
Alessandra Pioselli
È un KŌAN, uno strumento di pratica meditativa propria del Buddismo Zen, consiste in un’affermazione paradossale o in un racconto usato per aiutare la meditazione e quindi “risvegliare” una profonda consapevolezza. Si tratta pensare un concetto che diviene un ostacolo e che blocca la mente; per superare l’impasse il soggetto è costretto ad arrestare il pensiero logico-razionale e ad aprire la mente per cogliere la verità nascosta in ciò che apparentemente sembra privo di senso.
«Se intraprendete lo studio di un kōan e vi ci dedicate senza interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell’io. Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede.
La morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora, improvvisamente sarete una sola cosa con il kōan e il corpo-mente si separerà. […] Ciò è vedere la propria natura.»
Hakuin, Orategama
La “porta senza porta” di Amalia Del Ponte alla Galleria Milano
La ricerca che Amalia Del Ponte porta avanti da decenni si rivela, soprattutto se considerata nell’ottica di una – ormai possibile – prospettiva più storicizzante, sempre di grande interesse, proprio in virtù di quella poliedrica unitarietà che ne è da sempre la cifra caratteristica. Tale aspetto, per altro, risulta con evidenza anche dalle installazioni presentate in occasione della mostra attualmente allestita negli spazi della Galleria Milano.
Le opere esposte sono poche, ma, in alcuni casi, decisamente di grande spessore e consentono di comprendere con chiarezza le istanze di fondo del lavoro di Del Ponte, nel quale una sottile, ma decisa, matrice concettuale si è ogni volta coniugata con quello che si può definire un caldo lirismo, un timbro poetico coinvolgente, teso soprattutto a implicare profondamente lo spettatore, traducendolo dal suo tradizionale ruolo contemplativo in attore dell’esperienza estetica.
Esemplare è il caso del litofono collocato nella sala centrale della galleria, un pezzo del 1989 intitolato Potnia. Si tratta di una grande lastra di travertino su cui è scolpito a bassorilievo un viso. Essa, una volta percossa dallo spettatore con gli appositi attrezzi che gli sono messi a disposizione, emette un suono particolare e affascinante che, diffondendosi nello spazio, ci permette di guardare la pietra e sentirne contemporaneamente il suono, in una fusione di sensi davvero toccante. Del resto, Del Ponte è sempre stata interessata ad una idea di percezione che si estende ampiamente oltre i confini del visivo, volta a catturare l’energia panica che attraversa il mondo: l’autrice ha lavorato molto su questa tematica, approdando ad esiti davvero convincenti e questo pezzo rappresenta uno dei suoi più importanti contributi.
Altrettanto interessante, e solo apparentemente diversa, è pure la recentissima e complessa installazione intitolata Ars Memoriae (2014), una sorta di traduzione visiva della tecnica, chiamata appunto Ars Memoriae, su cui anche Giordano Bruno aveva riflettuto, non considerandola semplicemente uno strumento retorico, bensì un mezzo di conoscenza. Anche in questo caso, lo spettatore può cimentarsi in prima persona, mettendo in gioco la propria immaginazione, attraverso un alfabeto figurativo in cui le lettere si trasformano in immagini, evocate da segni sottili, in alcuni casi quasi sussurrati.
Una marca più apertamente simbolica caratterizza il video ispirato a William S. Borroughs, scrittore e pittore americano, le cui inquietanti visioni Del Ponte interpreta visivamente. Più puramente concettuale è, invece, Il nano illuminante (2014), un’opera che nella sua semplicità suggerisce una riflessione su una tematica, invece, di grande impatto: la nanotecnologia. Una cornice, vistosa e barocca, custodisce e quasi nasconde, un impercettibile punto di luce che pure riesce a farsi largo attraverso la materia. La porta senza porta è una mostra, insomma, in cui lo spettatore abbandona la sua tradizionale passività per condividere, con gli altri e con l’artista, un’ esperienza estetica di vibrante intensità.
Cristina Casero