Anche Amalia Del Ponte usa la pietra (vedi Amadeus n.205, dicembre 2006). A partire dagli anni Ottanta realizza i “litofoni”: sculture – di aspetto e spessori variabili e attentamente calcolati – destinate a essere “suonate”, quasi sempre da musicisti chiamati a compiere azioni performative, magari di carattere percussivo mediante battenti, come avvenne nel settembre 2005 all’inaugurazione degli spazi espositivi della Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano, dove l’obiettivo era creare un flusso di vibrazioni acustiche che si diffondeva nell’ambiente. Invece con Litodramma (1988) il compositore romano Gianluca Ruggeri scrisse la partitura di un brano da interpretare attraverso le opere della scultrice, e lo fece eseguire tenendo all’esterno dell’edificio, nei giardini,gli spettatori, che così non vedevano chi, dove e che cosa generasse quelle armonie ancestrali e misteriose, evocanti antiche liturgie orientali; soltanto alla fine il pubblico poté entrare e constatare. Ciò che conta, per Amalia Del Ponte, è indagare in che misura la forma corrisponda al suono,e trovare i rapporti esatti per “intonare” le sue pietre, che si presentano come gong rettangolari sospesi a mezz’aria: accorciando la lastra il suono sale, e sottoponendola ad assottigliamenti e varie lavorazioni l’artista arriva alla nota che desidera ottenere. È una sorta di “accordatura”, in cui alle corde si sostituisce la pesante materialità di vere e proprie sculture, che non cessano di esser tali, peraltro.”
Paolo Bolpagni
La forma (luce) e il timbro (qualità) saranno le due componenti inscindibili… Battendo su queste pietre si rivela la loro sostanza sonora e il ritmo profondo di chi le usa. Vorrei ottenere quella fusione di udito e vista che gli antichi cinesi definivano “luce degli orecchi”
Amalia Del Ponte