9 maggio: Lisa Montessori Francesco Clemente
11 maggio: Berty Skuber Alighiero Boetti
16 maggio: Amalia Del Ponte Sandro Chia
18 maggio: Iole De Freitas Luciano Fabro
a cura di Anne Marie Sauzeau Boetti e Gian Battista Salerno
9 maggio: Lisa Montessori Francesco Clemente
11 maggio: Berty Skuber Alighiero Boetti
16 maggio: Amalia Del Ponte Sandro Chia
18 maggio: Iole De Freitas Luciano Fabro
a cura di Anne Marie Sauzeau Boetti e Gian Battista Salerno
“Pas de deux” è il brano coreografico eseguito da una coppia di ballerini: evoca la dimensione artificiale del codice estetico. Il due è la cifra apparente di questa mostra: gli artisti presentati due per volta, un uomo e una donna, con un lavoro ciascuno; due le settimane di esposizione e per ogni settimana due allestimenti; due i curatori, un uomo e una donna? due le possibili traduzioni del titolo.
Il “pas de deux” della terminologia coreografica è il suo volto culto e istituzionale, è un’espressione internazionale ma nella traduzione letterale il sostantivo “pas” (passo) rischia di scomparire nel “pas” della negazione e mostrare un altro volto del titolo, ottuso e inelegante, ignaro dei fasti della danza come di ogni livello semiologico che non sia quello propriamente linguistico. Si tratta della faccia parlante del titolo, quella che dice seccamente, contro ogni evidenza, che invece no: “non c’è due”. Questa negazione funziona come un’autonomia che si riferisce al numero stesso delle traduzioni: “non c’è due “si accaparra il senso per essere l’unica traduzione, quella che afferma la sua possibilità di negare.
E mentre il titolo prepotentemente si autoconferma, la negazione si riferisce anche alla cifra della mostra, a tutti i luoghi in cui il due si manifesta come simmetria, o complementarietà, o alternativa.
Sono i luoghi canonici della coppia e dei ruoli sessuali, quelli sanciti dal “pas de deux” coreografico. Bisogna allora passare oltre il due e vedere la pluralità dei soggetti, il che equivale a passare prima del due per vedere un uno non maiuscolo, metafisico, conciliato?; che sia piuttosto il singolare del soggetto sessuato. Vedere la disparità dei suoi nodi di accesso alla funzione simbolica, e la differenziazione nella pratica del suo lavoro espressivo. Questa mostra perciò non è una collettiva. Lo spazio della galleria, e dell’arte, non è una terra di nessuno tra due pianeti. In questi quattro atti unici non sono messi a confronto due generi, ma sono i soggetti a confrontarsi esplicitamente per non impedire alla traccia sessuata di emergere tra i due regimi dell’immagine.
Anne Marie Sauzeau Boetti e Gian Battista Salerno
Roma 1977
Gian Battista Salerno: Amalia Del Ponte sa che un cristallo non può stare da solo. Due fili di rame, una mano di gesso (sorda come una parola) dicono l’elettricità del quarzo sottoposto a pressione; un piedistallo, un punto di mira, un oggetto mirato dicono le proprietà ottiche del prisma. Il buio minerario che li ospitò copre ancora la parola dei cristalli, situata su una scala microscopica e i cristalli si circondano perciò di accessori.
Poi Del Ponte fa un intervento molto drastico, molto potente sull’arcano della Temperanza, ne corregge la citazione, ne devia le finalità simboliche, quasi per bilanciare il silenzio dei cristalli, oggetti troppo sublimati, resistenti al linguaggio. Ma a sua volta l’arcano si piega alla loro fondamentale proprietà che è appunto quella quella di tacere ciò che hanno di dinamico e di vitale.Il fluido mercuriale tra le brocche è invisibile; esse indicano ora due punti dello spazio, vicini abbastanza da poter essere percepiti entrambi, toccati con mano, ma privi di un segno che comprovi la loro interdipendenza e reciprocità: come le due proprietà dei cristalli: ottica e elettrica.
Con il ché concludo poiché già intravvedo un circolo vizioso.
Anne Marie Sauzeau Boetti: Da un calice all’altro, la temperanza versa un liquido, un fluido. Da un calice all’altro, Amalia armonizza e “tempera” le virtù della luce e dei cristalli. In certi Tarocchi, Amalia si chiama Iris. Dietro le sue ali dorate irradia il sole, ai suoi piedi fioriscono gli iris gialli.
Così lo spirito solare travasa la linfa vitale da un urna all’altra. Il travaso non è una virtù moderatrice, annaquatrice, ma una iniziativa vitale di scambio e di polarizzazione tra due modalità della materia: ottica/elettrica, colori/calore. Qui, due funzione della struttura cristallina del quarzo che s’incontrano chimicamente. L’antica rêverie prescientifica e l’immaginazione materica della Temperanza produce una fisica fantasticante, oziosa e puntuale, che contiene già le moderne rivelazioni scientifiche sui molteplici aspetti della struttura della materia (o onda, o particelle). Ma tutto sta tra le brocche antiche. Tutto quello che è fluido rimanda all’acqua.E tra le brocche, la fluidità si brucia.Dal matrimonio tra acqua immaginaria e luce nasce l’acquavite, il punch direbbe Bachelard. L’acqua bruciata crea l’arco energetico, l’arco al quarzo, l’arcobaleno, il campo elettrico, il diapason.
GBS: Lo vedi un otto in questa mostra? Ci sono i due lavori, quarzo e pittura a olio, fisso e volatile, ciascuno col suo circolo, che poi funzionano anche toccandosi in un punto che sarebbe bello studiare!
AMSB: Questo punto è il prisma, la sua trasparenza attiva che mette in moto l’intercambiabilità circolare modello/copia e elettricità/ottica.
Il quarzo non sarà O, diventata occhio?
GBS: Dato che questo pezzo di Chia è un circolo vizioso non si può entrare nel merito del suo funzionamento senza rimanere a rigore intrappolati in una proliferazione infinita di descrizioni ripetitive e analoghe. Ci sono però almeno due illusioni di scongiurare la diabolica semplificazione di un circolo vizioso (di trovare una matta), come due facce di una moneta: lo Zahir e Hyroshima monamour: persistenza e corruzione della memoria.
Resnais è Borges capovolto. È vero che il vizio del circolo sta proprio nel fatto che capovolgendo un racconto non si ha un racconto capovolto ma un film, così come nel dipinto di Chia succede per esempio che dal ribaltamento della cacciata dal paradiso terrestre si ottiene la foto di Adamo ed Èva che cacciano Dio) ed è vero che proprio in questa continua metamorfosi dei poli intermittenti sta l’impossibilità di osservare un circolo vizioso dall’esterno come fosse un “objet à détruire” o un “indistructible objet”. Ma un Borges-Resnais dice che un’affezione patologica della memoria (un eccesso o un difetto,un motivo indimenticabile o un motivo da ricordare) è forse una risposta al circolo vizioso: un tiro mancino al gesto di destrezza,una risposta stolta a una domanda intelligente.
E disse Man Ray che la follia è un orologio,un pendolo, un metronomo che dimentica di fermarsi.
Modello copia simulacro
a fili di spada lego il blasone
A 180 gradi è la vecchia cacciata
a 360 nel frutteto la storia cambia?
¡H 0 H! se continua a girare
torna tutto come prima
¡H 0 H! il blasone nella piroetta
rimane un’affare tra 2 H
uno rosa l’altro biliare tutt’al più
la copia che si prende per il modello#
Inevitabile che i corpi filiformi
perdano la santa pace parallela
e facciano a spadate
se accarezzano in tangente la pancia di 0
0 fatta di quadri in collana
regina di quadri
odalisca dei quadri
perno dei 360 gradi e delle spadate.
Si ode: certo la regina è il centro e l’ccedenza l’interstizio e la sostanza.
Bella botta a fil di spada
ma le gira la testa
e il frutteto è rovente
A fil di spada salta il blasone
H 2 O
Anne Marie Sauzeau Boetti