1977
un album, stampa di George-Louis Buffon e scritto indecifrabile su tappeto Shivas, dimensioni variabili
esposizioni: Casa del Mantegna, Mantova; Fiera del Levante, Bari
1977
un album, stampa di George-Louis Buffon e scritto indecifrabile su tappeto Shivas, dimensioni variabili
esposizioni: Casa del Mantegna, Mantova; Fiera del Levante, Bari
Quando l’arte è vissuta tutta al femminile
LA MEMORIA, l’autobiografia, il quotidiano, i percorsi interni e privati opposti alle esterne direzioni obbligate, le topografie del cuore, le mappe sentimentali, le ragioni del corpo: cinque artiste presentano in questi giorni, nell’ambito di una rassegna dell’Expoarte della Fiera di Bari, Ipotesi ‘80, affidata ad alcuni critici dell’arte, un loro lavoro sulla condizione fermminile. Sono Carla Cerati, Sandra Sandri, Diana Rabito, Valentina Berardinone, Amalia Del Ponte, messe insieme per questa esposizione dal critico Lea Vergine. “Quando gli organizzatori della rassegna – spiega Lea Vergine – mi hanno chiesto un’ipotesi sul futuro dell’arte ho pensato che oggi parlare di situazione nuova, ‘alternativa’, può avere un senso solo dando spazio alla problematica femminile. Ho deciso allora di chiamare cinque donne, ma non delle ultime leve, quelle cioè cresciute nell’ambito o a fianco del movimento femminista, ma «professioniste» cioè delle donne che si sono affermate seguendo l’iter tradizionale, “maschile” invitandole a lavorare sul tema della condizione “femminile”.
Da questo invito sono venute fuori tutte opere «che hanno lo stile e il sapore del diario, e del diario hanno potere di spalancare una dimensione di vuoto, del diario hanno la forza di attentare alla commedia dei rapporti tra le persone, da lucidità di rivelare l’impostura del quotidiano». […] la proposta di Amalia Del Ponte, la più apparentemente femminile, la più drammatica. Il tema è la maternità: nello spazio magico, astratto di un tappeto antico due oggetti. Un montaggio di carte, una vecchia stampa di un fiore e un foglio coperto di una scrittura indecifrabile, che viene da lontano. Dall’altra parte del tappeto un album di foto, le foto della figlia di Amalia, dalla nascita ad oggi.
Elisabetta Rasy
“Paese sera”, 25 aprile 1977
La schizofrenia della donna nel quotidiano
“Non si è mai illibati se si è partigiani.
Allogene (dal greco allogenes, d’altra razza, di razza diversa) per condizione naturale, le cinque artiste con cui ho voluto realizzare una linea di lavoro pensata apposta per Ipotesi ’80, presentazno a Bari una serie di opere tutt’altro che aperte; chiuse, invece, come un pugno, ad indicare una crescita esposiva del fare arte da parte degli individui femmina e dal far politica sulle donne.
Non si tratta di amare canzoni di resa, né madrigali predicatorii, ma di emblemi audaci della condizione umana, trasparentemente o violentemente dolorosi – a secondo dei casi – offerti o detti con una ferocia che ha sempre a che fare con l’innocenza.
Son tutte opere che hanno lo stile e il sapore del diario, e del diario hanno il potere di spalancare una dimensione di vuoto, del diario hanno la forza di attentare alla commedia dei rapporti tra le persone, la lucidità di rivelare l’impostura del quotidiano.
[…]E’ una mappa genetica, evolutiva, la trepida ed acuta ricerca fatta da Amalia Del Ponte sul rapporto madre-figlia. Si tratta di un albo, dell’albo per eccellenza, del libro in cui si raccolgono foto, disegni, memorie. Ma è una mappa. E’ la cronaca di nove anni di vita in comune, la storia di una dualità, di una coppia di entità tra le quali intercorre una relazione essenziale per entrambe, una topografia particolareggiata (la mappa appunto) di un territorio non troppo vasto. Nulla sfugge tra madre e figlia, tutto viene registrato e, talvolta, trasfigurato e si forma come un campo magnetico ricco di impulsi aggressivi e amorosi.
Questo tipo di operazione la Del Ponte lo aveva già iniziato nel ’74, quando scriveva, in occasione di una sua personale milanese, «sto preparando delle mappe come immagini di percorsi mentali… come ricercare le cose in modo che l’esperienza personale sia anche esperienza di altri soggetti». Nel testo intitolato «Il cristallo come corpo d’informazione ritrovato» parlava già «dell’antica violenta divisione storico/vissuto/soggetto/ambiente/piacere/realtà al di là del dualismo schizofrenico». Per cercare di esistere senza il cuore spezzato.”
Lea Vergine
Amalia Del Ponte ha realizzato un lavoro rigorosissimo a partite da un vissuto molto intimo – la maternità – senza ideologizzare e senza mistica. Ha distillato l’esperienza fino a giungere a una proposta un po’ ermetica (concettuale e sensitiva allo stesso tempo). La situazione fisica del lavoro é fiabesca, cristallizzata in due dimensioni, per terra, prcssata tra un gran tappeto persiano e un vetro sovrastante. in questo scrigno e messi vis-à-vis, due testi sul gran mistero della generazione: da una parte, un albo di foto, datato 1976-68 (i primi otto anni di vita della figlia di Amalia, 8 ovvero l’infinto dell’incontro tra madre e figlia, dello specchiamento, dell’incastro, della memorizzazione reciproca, patto grave, irreversibile, discretamente vertiginoso). Dall’altra parte due fogli datati 1638: una tavola di botanica (lungo fiore e semi, con la scritta a nastro, ejusdem flores et vaginae magnetudo) e un misterioso foglio con geroglifici a chiocciola. In due fogli, due modi antagonisti di pensare là vita e la fecondità: scienza positivista da una parte e comprensione esoterica dall’altra (passare dal regno esplicito`a quello iniziatico, o viceversa?). Sull’altro asse dialettico (cioè tra l’albo o la tavola botanica) ecc0 l’altro grande dilemma: la scienza che progredisce e la natura che cresce (e decresce). Su queste polarità antagoniste e irrisolte cade il vetro che le cristallizza in quanto dilemma della coscienza, lo stesso vetro che d’altronde protegge la gestazione In vitro della memoria del corpo.
Anne Marie Sauzeau Boetti