1966
Salone Internazionale dei Giovani
a cura di Guido Ballo
Scuola Grande di San Teodoro, Venezia
Guido Ballo
“Un nuovo strumento che estenda le possibilità degli incontri d'arie è da accogliere sempre con favore tanto più se si tratta di un Salone dei giovani, aperto alle varie tendenze, e in una città come Venezia, nel periodo della Biennale. E' vero, nelle arti oggi si vuole essere giovani a ogni costo, i linguaggi si motiplicano contrastanti e sembrano bruciarsi subito: ma non si pensi che con questo Salone si voglia puntare solo su quelle forme o maniere falsamente giovanili, alla ricerca del nuovo più forzato. Da parie mia non credo all'improvviso invecchiamento dei linguaggi, quando siano stati vissuti profondamente dai singoli artisti. I giovani però ci sono, spingono, e bisogna vederli, distinguere, seguirne gli sviluppi, offrire la possibilità di mostrarsi. Ne si pensi, tanto meno, che si voglia fare qui una rassegna contro certi criteri delia Biennale: il Salone nasce con vita autonoma, da una mia lontana idea (pensavo, tra l'altro, di farne uno che girasse in Italia e all'esiero) ma per la concreta iniziativa di alcuni giovani anche stra nieri, i quali, com'è nella tradizione di queste particolari mostre, hanno fatto tutto alla buona, senza mezzi, e soprattutto alla pari, pronti a rimetterci. Eppure non era difficile trovare esaurienti aiuti da mercanti affermati o da altri: ma si è voluto ritornare all'autonomia di una rassegna quanto più indipendente. La scelta dei nomi è stata fatta collegialmente, dal primo gruppo e poi, via via, dagli altri ammessi, sempre con chiara parità, soprattutto senza criteri dall'alto. Ovviamente, avrebbero potuto esserci, altri pittori, scultori, grafici: l'esclusione non nasce da un rigido giudizio negativo; si è proceduto, vorrei dire, finché possibile, per uno sviluppo organico, come un albero che cresce e moltiplica i suoi rami per interna vitalità, in modo quasi spontaneo. Le tendenze risultano varie: dalle nuove immagini di relazione, con accenti lirici, a certi sviluppi figurativi, al puro sperimentalismo cinetico, alle diverse ricerche visuali, singole o di gruppo, alla moltiplicazione dei corpi plastici, agli spazi di un ritmo quanto più segreto e, per contrasto, ai processi meccanici o alle forme espressive, primordiali, e ai rigori costruttivi. Si tratta, come si vede, di linguaggi anche opposti, che pero presuppongono, tutti, il concetto di una pura speculazione al di là di qualsiasi legame pratico: la ricerca artistica sperimentale, astratta o d’immagine è sempre intesa, in tutte le tendenze di oggi, con purezza di attività o di contemplazione non legata a scopi pratici. Ma accanto a questa sono accostate sullo stesso piano di arte prodotti di industrialdesign e di grafica «pratica»: perché è giunto il momento che la distinzione tra arte lirica, arte pura e prodotti estetici con funzione pratica, non possa ne debba più esistere. Il fatto è questo: che nel passaggio da un sistema di lavoro artigianale a un sistema industriale, non è più possibile considerare arte soltanto il prodotto che presupponga un lavoro artigianale o che sia lìbero da scopi pratici. Tutti i sovvertimenti della pittura da cavalletto e le varie ricerche visuali, cinetiche, spaziali nascono in sostanza dall 'esigenza di considerare questo nuovo rapporto: quasi per superare la crisi del soggettivismo individualistico. Ciò, naturalmente, non toglie valore all'arte puramente lirica: ma ne dà, in modo pieno, all'arte che nasce da presupposti industriali, con la moltiplicazione dell'oggetto in serie. Ci vuole inventiva, fantasia, estro -al di là del necessario rigore e del dominio tecnico- per progettare una linea d’industrial design o di una grafica applicata, ne più ne meno che per l'arte lirica: solo che ha uno scopo, «serve», è in funzione pratica. Insomma le vecchie distinzioni di origine crociana non rispondono al clima di ricerche -e anche ai risultati- dell'arte nuova del nostro tempo. Ciò, del resto, fa evitare anche altri equivoci: per esempio, il mito che le ricerche visuali siano efficaci o valide solo se libere da ogni applicazione pratica. Tanto più che anticamente l'arte non era mai forma pura, aveva anche funzione pratica, era illustrazione, decorazione, propaganda, vita di ogni giorno. Il Salone dei giovani nasce dunque con questa decisa apertura (ormai, già sentila da altri, ma troppo spesso in tono minore): ed è un'apertura che può far superare tanti estetismi o compiacimenti. Per il resto, si tratta di guardare le singole opere, al di là degli schemi di tendenze intenzionali, o delle astratte distinzioni, e discuterne caso per caso, mirando ai risultati. (Ma certamente chi si interessa di arte non può trascurare l'innegabile, varia vitalità di questo Salone dei giovani.”
Artisti partecipanti: Arroyo, Paolo Baratella, Baroni, Bellini, Burri, Fernando De Filippi, Gandini, E.Giorgi, Huppy, P. Manzù, Livio Marzot, Mesko, Pardi, Pasotti, Plessi, Ramella, Edival Ramosa, Giuseppe Spagnulo, Schmidt, Walker, Corpi Plastici, Mid, Gruppo Zero.
tropo n.3