1989
Il Pianeta Sognato
Giardini Estensi, Varese
a cura di Sabina Ciuffini
performace di Davive Mosconi
Anne Marie Sauzeau Boetti
Nella forma, attraverso la forma
“Già nel 1965, con le strutture di plexiglas-prismi trasparenti a contatto con il cemento o il ferro, Amalia Del Ponte lavorava sui fenomeni ottici, energici... Curioso progetto quello di virtualizzare la fisicità materica di un oggetto, o meglio, di farne scaturire un'altra fisicità: quella dematerializzata e mobile dell'energia stessa, che sia sotto forma di luce, d'arcobaleno, calore, onda elettrica, facoltà memorativa o vibrazione sonora (mi riferisco qui a vari aspetti della produzione dell'artista). Amalia Del Ponte nutre una bachelardiana curiosità verso tutti i saperi scientifici, dai più positivisti ai più mistici, dai più arcaici ai più fantascientifici. Con straordinario agio, attinge in particolare alle teorie di mineralogia sulla struttura dei cristalli, come a quelle più sorprendenti della biologia su quei sistemi di cristalli liquidi che ad esempio sono alla base della materia cerebrale. E affascinata Amalia dall'ipotesi paradossale che, essendo la differenza tra le stalattiti alla volta delle grotte e il cervello umano fatta soltanto di un minor o maggior grado di organizzazione e specializzazione informativa dei reticoli atomici, al regno minerale non sia precluso l'accesso all'intelligenza, in tempi futuri e infinitamente improbabili. Pertanto, di questa «intelligenza siderale dei cristalli» esiste una discreta anticipazione, prodotta dall'uomo, nei calcolatori elettronici della terza generazione, in cui «pensano» dei cristalli artificialmente associati... Amalia ha allenato il proprio cervello a questo tipo di speculazione intuitiva, ha dilatato la propria coscienza, nell'uguale frequentazione delle moderne teorie scientifiche e le ricerche mnemoniche di Giordano Bruno. Con uguale passione e senso dell'attualità. Alla radice della struttura della materia (per quanto riguarda la memoria dei suoi codici di moltiplicazione o i suoi avatar tra necessità e caso, tra ripetizione e salti mutativi) non c'è differenza sostanziale nello sviluppo della materia minerale (un cristallo), una vita biologica (il corpo di un bambino) o del pensiero. Così, attraverso la forma ciò che Amalia interroga è il nucleo della materia, il codice memorizzato della materia, il suo inconscio forse. E come fece Gaston Bachelard per le forme fluttuanti dell'aria, della terra, dell'acqua e del fuoco, da lui inseguite oltre le scienze esatte nell'immaginario poetico, così fa Amalia Del Ponte per quell'interregno che coinvolge il mondo minerale e il mondo cerebrale (tra sensi e coscienza). Interroga la memoria della materia, la spinta della materia alla crescita, l'energia sprigionata dalla materia: che sia modifica volumetrica o nella grana in superficie, oppure lampo luminoso, o flusso sonoro... Così venti anni fa, ha 'allevato' (e esibito nelle successive fasi della loro crescita) una serie di cristalli nella trasparenza dei loro vasi di col tura (o coltivazione), perfetti come diamanti, incuranti della manualità umana, determinati solamente dalla loro memoria chimica e da un idoneo ambiente liquido. La formazione spontanea e graduale dei cristalli ci ricorda che il regno minerale, e più in generale il regno dell'inerzia, possiede, contro tutte le apparenze del tempo umano, una segreta energia dinamica e una volontà di forma alla quale occorre soltanto un altro tempo. La materia cresce dunque, come il corpo del bambino se lo si nutre. Sempre negli anni '70 Amalia espose, in un insieme di objets trouvés apparentemente eterogenei e un po' esoterici, posati con sacralità su un tappeto in terra, la traccia di una diversissima crescita, secondo un tempo umano molto intimo e irripetibile, il tempo della vita. Era il diario della maternità, la crescita della piccola Nicol, sua figlia. Se la pietra ha memoria atavica e cresce nella sua più segreta struttura, se inoltre accumula una memoria circostanziale, accidentale, geologica, quella che è più facilmente leggibile nelle cicatrici lasciate dai tanti cataclismi della storia terrestre, ebbene, qualsiasi blocco di pietra non solo l'affascinante geode ha molti misteri da rivelare, da raccontare. Mi è capitato di visitare una cava di marmo, a Carrara, con Amalia. Era un primo gennaio, un freddo polare, l'aria cristallina che dà nitidezza a tutto, ai tratti, ai colori, ai rumori, al silenzio. Mi è parso di visitare un tempio, in compagnia del dovuto sacerdote. Senza bisogno di delucidazioni ho capito che, di fronte a una scogliera di marmo grezzo, si può leggere e ascoltare (perché ciò investe più ordini sensoriali), uno sconfinato racconto sulla trasformazione della materia nel corso del tempo, a livello micro e macroscopico. E la «narrazione cosmica» di cui ha scritto Eleonora Fiorani nel 1988, in occasione della prima esposizione delle «pietre sonore» dell'artista che da qualche tempo cercava la «forma del suono» nella pietra, la voce del marmo o del travertino. Al momento della percussione, il suono tenuto in serbo dalla lastra fuoriuscirà. Così si libera l'onda energetica, la vibrazione che si propaga come calore o luce, che si espande dall'universo chiuso all'universo aperto, al di là dei confini della nostra limitata percezione acustica. Il suono racconta questa propagazione dal cuore della pietra. L'energia di chi suona la pietra tenderà a sincronizzarsi su un ritmo immemoriale, armonioso e impersonale. L'impegno della scultrice è stato invece la ricerca delle proporzioni della lastra, per aggiustamenti graduali come nell'accordatura di uno strumento, affinchè uscisse la voce giusta. Poi la lettura e sottolineatura dei segnali sintomatici apparsi nella pietra, un potenziale che si tratta di coltivare, portare a termine, far fiorire in una narrazione visiva che verrà scandita dal suono della percussione, come dalla bassa armonica dell'organo: tra quei sintomi, l'allusione alla potenza del fulmine (e del tuono) nella scaglia bianca nel belmezzo della lastra grigia, o quel fruscio ritmico di onda marina accennato dalla superficie irregolare, o la traccia impercettibile di palpebre abbassate sull'invisibile, che appena fanno ondeggiare la superficie della lastra rosa. I suoni delle pietre sonore producono lunghi racconti primordiali, tra i quali l'origine del suono musicale e dell'impercettibile confine tra rumore e suono armonico; oppure l'origine delle baudelairiane ' corrispondenze' sensoriali tra udito, vista, tocco, ecc.., quell'esperienza sovrapposta che Amalia chiama la «luce degli orecchi»; e soprattutto la narrazione di quegli esercizi meditativi, di fronte alla luce, alla montagna, alla poesia, alla musica, in cui una coscienza accetta di dilatarsi come un grande respiro e trova il diapason della comunione con le cose, nello stato fluido originario.”
Potnia (1989)
Davide Mosconi